Bragagni: Europa, Euro, Made in Italy

Dr Maurizio Bragagni OBE
7 min readFeb 12, 2018

Una delle prime proposte di riunificazione dell’Europa sotto l’egida di un’unica istituzione sovranazionale fu avanzata dal grande scrittore francese Victor Hugo, ma solo dopo le due guerre mondiali, con milioni di morti in ogni paese europeo, nacque la volonta’ di ricostruire una senza conflitti fra le sue nazioni.

Ed il 9 maggio di ogni anno si festeggia la nascita dell’Europa perche’ quel giorno del 1950 fu presentata da parte di Robert Schuman il piano di cooperazione economica, ideato da Jean Monnet ed esposto nella Dichiarazione Schuman, che segna l’inizio del processo d’integrazione europea con l’obiettivo di una futura unione federale.

La data coincide anche con il giorno che segna la fine della Seconda Guerra Mondiale: il 9 maggio è infatti il giorno successivo alla firma della capitolazione nazista.

Da allora sono stati stipulati 21 Trattati.

In particolare il trattato di Lisbona del 2007, entrato ufficialmente in vigore il 1º dicembre 2009, provvede al riparto di competenze tra Unione e Stati membri, e rafforza il principio democratico e la tutela dei diritti fondamentali, anche attraverso l’attribuzione alla Carta di Nizza del medesimo valore giuridico dei trattati.

Quello dell’Unione Europea e’ un lungo percorso, che si dovrebbe adeguare costantemente all’attualita’ dei tempi sia rispetto alla societa in rapida trasformazione e la politica dovrebbe essere lo strumento capace di trasformare i cambiamenti in azioni per il progresso dei popoli europei.

Molti confondono l’Unione Europea con l’Euro.

E’ giusto ricordare che l’euro è la valuta comune ufficiale dell’Unione europea (nel suo insieme) e quella unica attualmente adottata da 19 dei 28 (27 tra 1 anno) Stati membri dell’Unione aderenti all’Unione economica e monetaria dell’Unione europea.

La nascita ufficiale della moneta unica europea avvenne il 1º gennaio 1999 ed il debutto dell’euro sui mercati finanziari risale al 1999, mentre la circolazione monetaria ebbe effettivamente inizio il 1º gennaio 2002 nei 12 Paesi dell’Unione che per primi hanno adottato la nuova valuta.

In Italia da anni alcuni partiti, movimenti politici ed economisti si sono dichiarati apertamente anti Unione europea ed anti-euro.

E se l’Italia tornasse alla lira?

I trattati ed altri accordi europei, mentre prevedono la possibilita’ di abbandonare l’Unione Europea, non contengono nessun riferimento a procedure formali di una uscita dall’Eurozona, ritenendo implicitamente l’adozione dell’euro come una scelta irreversibile.

Come hanno scritto Enrico Marelli e Marcello Signorelli nel loro libro “ E’ se l’Italia tornasse alla lira” e’ importante sottolineare il primato della politica, nel senso piu’ nobile del termine, nel dilineare una visione saggia delle dinamche storiche, assieme a scelte lungimiranti e democratiche; non dimenticando che il processo di sviluppo deve essere finalizzato all’espansione della liberta’ individuale, rafforzando acnhe la liberta’ positive che consente a tutti I cittadini di realizzare se stessi.

Le tre opzioni: Italexit unilaterale, Euroxit incontrollata e Euroexit concordata, non si dovrebbero neppure prendere in considerazione nonostante i sostenitori del ritorno ad una moneta nazionale dicono che favorirebbe una crescita maggiore e piu’ stabile e quindi una minore disoccupazione.

Un sicuro vantaggio sarebbe quello che la presenza di una banca central nazionale sarebbe piu’ in grado di rispondere con prontezza e adeguatezza agli shock riducendone l’impatto e gli effetti persistenti.

Ma un eventuale ritorno dell’Italia a una moneta nazionale si accompagnerebbe sicuramente a una svalutazione (dall’11% al 40%). Questo significa che gli italiani tenterebbero di mettere in salvo i risparmi in euro (vi ricordate il lontano 1991 l’assalto ai supermercati il giorno dell’inizio della prima Guerra in Iraq?) dalla svalutazione della nuova moneta nazionale.

Quindi vi saranno leggi per impedire la fuga di capitali (per esempio: aperture di conti all’estero ed acquisto di attivita’ finanziarie in moneta estera).

Basterebbero solo alcuni rumors su una reale possibile uscita dalla eurozona che si scatenerebbe una fuga di capitali estremamente rapida e le banche potrebbero essere percepite a rischio fallimento dovuto essenzialmente alla svalutazione ed al deterioramento dei bilanci degli istituti di credito in presenza di una ridenominazione del debito pubblico che ricordiamo e’ detenuto in quantita’ rilevante dale banche italiane.

Questo e’ lo scenario probabile descritto da molti economisti.

La politica deve farsi carico di dare delle rispsote all’insofferenza ed alla mancanza di vera e precisa informazione riguardo l’Unione Europea e l’Euro.

Con troppa superficiliata’ viene data la colpa della crisi italiana all’Unione Europea e all’Euro.

In parte e’ vero, ma non al 100%.

Nel programma di Noi con L’Italia al primo punto del capitolo riguadante l’Unione Europea abbiamo scritto: non alle politiche di austerita’.

Quella austerita’, nella prima fase della crisi economica che ha colpito l’economia, era un’azione necessariamente da fare, oggi non lo e’ piu’.

Serve una politica economica di sviluppo che vada oltre l’austerita’ ed i vincoli normativi.

Una politica europea che sia in grado di ri-regolamentare quelle norme che oggi frenano lo sviluppo.

In pratica una politica che sappia essere portavoce dei popoli europei rivisionando quei trattati che necessitano di revisione.

In pratica piu’ politica e meno burocrazia.

Piu’ coinvolgimento dei popoli, piu’ cultura quale elemento collante per la creazione di una Unione piu’ giusta ed equilibrata per tutti.

Coinvolgere i popoli significa tutelare in ogni sede degli interessi italiani a partire dalla sicurezza del risparmio e della tutela del Made in Italy, con particolare riguardo alle tipicità delle produzioni agricole e dell’agroalimentare.

“Made in Italy” e’ una espressione utilizzata, a partire dagli anni 1980, per indicare la specializzazione internazionale del sistema produttivo italiano nei settori manifatturieri cosiddetti tradizionali.

Rientrano in questa definizione le cosiddette 4 A:

  • Abbigliamento (e beni per la persona)
  • Arredamento (e articoli per la casa)
  • Automotive (inclusa la meccanica)
  • Agroalimentare.

Tutti i prodotti Made in Italy, a prescindere dal settore di appartenenza, sono generalmente accomunati da un mix di elementi che ne determina successo e riconoscibilità sul piano internazionale:

  • eccellenza
  • alta specializzazione delle tecniche di produzione
  • contesto di sviluppo e realizzazione dei prodotti spesso di carattere distrettuale (➔ distretto industriale)
  • forte radicamento nelle specializzazioni territoriali.

Uno degli aspetti più interessanti del Made in Italy è il carattere distrettuale delle produzioni che lo compongono, ossia la dimensione, collettiva e localizzata territorialmente, attraverso cui si sono sviluppate nel corso degli anni eccellenze di prodotto in termini qualitativi.

A questo si aggiunge un vantaggio competitivo spesso determinato da fattori come, per es., il design o il marchio.

Il valore del Made in Italy, inoltre, si basa spesso su aspetti intangibili del territorio, come il know how, la capacità progettuale e la reputazione.

Questi vantaggi competitivi, che contraddistinguono e mantengono elevate le vendite dei prodotti Made in Italy sui mercati internazionali, sono particolarmente sorprendenti considerando la superiorità tecnologica di alcuni giganti industriali dei Paesi concorrenti, o i bassi costi di lavoro e materie prime delle produzioni delle nazioni in via di sviluppo.

Per tutelare e promuovere le produzioni dobbiamo continuare a lavorare per regole giuste in mercati aperti, dove l’origine, la distinzione e la qualità siano fattori riconoscibili e aumentino la competitività Chi propone dazi e barriere mette a rischio i sistemi territoriali che danno vita a questi risultati.

In Senato dovremmo legiferare per dare sostegno a:

- iniziative di carattere economico con un occhio di riguardo alle giovani generazioni e allo sviluppo dei loro rapporti con le aziende italiane;

- creazione di protocolli e accordi tra regioni e con gli stati esteri dove è più forte la presenza di emigrati italiani di quella regione e di loro discendenti in grado di formalizzare e ufficializzare presso le istituzioni politiche ed economiche locali, progetti di promozione e di collegamento dell’economia regionale verso l’estero;

- intensificazione della formazione professionale dei giovani attraverso il coinvolgimento diretto dell’imprenditoria italiana, utilizzando tutte le più moderne tecnologie di comunicazione e di informazione.

La necessità di favorire scambi culturali, di garantire una formazione permanente di insegnanti e studenti, di rafforzare il ruolo e la presenza delle regioni tra i corregionali all’estero”.

Chiedere infine che il Made in EU, introdotto nel 2003 dalla Commissione Europea e poi approvato nel 2014 dal Parlamento Europeo con una proposta di normativa che introdurrà l’obbligo di indicare il “Made in” anche per i prodotti fabbricati in Europa, sia velocemente ed adeguatamente applicato per contrastare ‘falsari” ed “opportunisti” dell’ultima trasformazione o lavorazione sostanziale ed economicamente giustificata .

Ricordiamo che i produttori dovranno indicare il Paese d’origine sull’imballaggio o documento di accompagnamento o sul prodotto stesso.
Essi avranno la facoltà di utilizzare la dicitura “Made in EU” oppure indicare il nome dello specifico Paese di origine.

Alla luce di quanto sopra esposto, è evidente come la complessità della normativa applicabile al “Made in Italy” non favorisca quegli imprenditori che intendono fare del marchio Italia un sinonimo di qualità.

Lavoreremo quindi per una semplificazione e per una maggiore trasparenza e tutela del marchio di origine, a vantaggio dei consumatori ma anche e soprattutto di quelle piccole e medie imprese che rappresentano il tessuto industriale del nostro Paese e che intendono mantenere o riportare la loro produzione sul territorio nazionale e che sono collegate con gli italiani che vivono all’estero soprattutto in Europa.

Perche’ l’espressione “Made in Italy” si è trasformata in qualcosa di molto più importante di un semplice marchio di origine, giungendo ad assumere le caratteristiche di un vero e proprio “brand”, dotato di un’identità ben definita e divenuto sinonimo di qualità e affidabilità che ci sono riconosciute in tutto il mondo.

“Facciamolo crescere ancora!”

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Dr Maurizio Bragagni OBE

Author, Speaker, Hon. Consul @consolatorsmuk San Marino in U.K. NED @esharelife @IECstandards MSB member @BayesBSchool Hon. Sen. Vis. Fellow